Nel territorio della sola Unione Europea si producono oltre 2,5 tonnellate di rifiuti, ogni anno. Sono dati che arrivano direttamente dall’europarlamento.
Numeri che fanno riflettere, per certi versi paura. Se hai figli sai cosa intendiamo.
Ma c’è un percorso, anche legislativo, proprio in ambito europeo, per facilitare la transizione dall’economia lineare a quella circolare. Un percorso che però rischia di essere lungo se non viene capito o se non se ne colgono le opportunità, soprattutto a livello industriale, di branding, marketing e, infine, di educazione al consumo.
Sì, perché se pensiamo che sia solo questione di “abitudine al riciclo”, qui stiamo commettendo un errore sostanziale. Per questo è utile fare un po’ di chiarezza.
Economia circolare, definizione e punto di partenza
Quando parliamo di economia circolare parliamo di un concetto che sposta l’idea del prodotto che si consuma, si usa e poi si getta, in tutto o in parte, ad un prodotto che è composto da parti riutilizzabili o che possono tornare nel circolo produttivo, possono essere rigenerate o, comunque, riconnesse con le materie prime.
Secondo la definizione “ufficiale” della Ellen MacArthur Foundation, una delle organizzazioni private senza scopo di lucro più importanti del mondo che segue i temi della sostenibilità:
“in un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera”.
Per accelerare i processi dedicati all’economia circolare non si può pensare solo in termini produttivo-speculativi, ma bisogna avere il coraggio di percorrere strade in cui i principi guida sono quelli di un’economia che pensa in termini di sostenibilità. Sostenibile è infatti ciò che l’ambiente può reggere in termini di richiesta di risorse per la produzione (energia, materie prime e derivate, per fare un esempio) ma anche di rimessa in circolo del prodotto e delle sue componenti una volta che questo (o queste) arrivano a fine vita.
Se questo sembra un’idea particolarmente “green”, dobbiamo ricrederci tutti: è il mercato a chiederlo e i consumatori per primi.
Economia circolare e marketing, quando il green fa bene al brand
Tutte le ricerche di marketing degli ultimi anni lo confermano: il passaggio alla produzione “responsabile” fa bene al fatturato. I consumatori apprezzano di più le aziende orientate all’economia circolare. E basta davvero poco: un packaging ristudiato in ottica sostenibile fa notizia, accontenta la coscienza verde del pubblico e fa vendere di più perché si fa comprare più volentieri.
Lo hanno capito bene anche i grandi brand come Carrefour che ha sostituito i sacchetti in bioplastica con quelli di carta kraft . Ma anche Mc Donalds che ha bandito dai suoi ristoranti le cannucce di plastica. Oppure Amazon che, consapevole dell’impatto del delivery e del packaging, è costantemente coinvolta con innovazioni sull’imballaggio, sensibilizzando gli stessi produttori e venditori. Ha dedicato un osservatorio permanente a questi temi: l’ Amazon Sustainability Data . Nestlé, ha aderito ad un manifesto dei principali brand del mondo che si impegnano a eliminare completamente la plastica dai loro imballaggi e prodotti rendendoli completamente riciclabili entro il 2025.
Secondo una ricerca condotta dalla stessa Nestlé, 2 consumatori su 3 preferiscono rivolgersi a brand che adottano comportamenti e una produzione responsabile nei confronti dell’ambiente.
Quindi, non solo si deve fare questo passaggio, ma oggi abbiamo tutte le conferme che conviene anche al business.
Noi facciamo la nostra parte creando un prodotto che impatta sempre meno sull’ambiente anche dal punto di vista energetico. Ma di questo parleremo in un prossimo approfondimento.
Oggi il nostro obbiettivo è alimentare un dibattito affinché emergano idee e proposte. Soprattutto dalle nuove generazioni.
E le idee sono il vero petrolio del nuovo millennio, ma senza controindicazioni.